19.03.2013 14:14

L'incontro tra Pietro e Papa Francesco

La parola “coraggio” sussurrata al fratello di Emanuela Orlandi

 

 ROMA — «Santità, grazie...» All’uscita della chiesetta di Sant’Anna, la stessa dove Emanuela seguì le lezioni di catechismo e prese la prima comunione, i fedeli aspettano in fila il loro turno. Papa Francesco, che ha al suo fianco il capo della Gendarmeria vaticana, li accoglie come un qualsiasi parroco dopo la messa. Una stretta di mano, un inchino. Qualcuno con confidenza insolita lo bacia sulle guance. Il comandante Domenico Giani gli si avvicina: «Questi sono i parenti di Emanuela Orlandi». E lui annuisce...

Al quarto giorno di pontificato, nel suo primo bagno di folla, il Papa venuto «dalla fine del mondo» scambia alcune parole con i familiari della «ragazza con la fascetta», emozionatissimi. «Emanuela, tu sei il fratello?», esordisce Jorge Mario Bergoglio. Sì, risponde Pietro Orlandi, che gli prende la mano nelle sue, sopra e sotto, come a non lasciarselo sfuggire. «Santità, io mia sorella la cerco viva, ci spero ancora». E poi, avvicinandosi al suo orecchio: «Volevo chiederle se lei mi può aiutare ad arrivare alla verità».

Papa Francesco sussurra: «Caro Pietro, coraggio...» Ma è il contatto fisico, sono le parole non dette a scaldare più il cuore: «Mentre pronunciavo quella frase — racconterà Orlandi — mi ha stretto forte la mano e sorriso. Ho avuto la sensazione di un’intesa, di vicinanza. Mi ha incoraggiato... E per me che da 30 anni lotto per la verità sul sequestro di mia sorella è stato bello, ho pensato che il muro di silenzio che dura da due pontificati si sta incrinando». Qualcuno riprende la scena. Poco dopo la foto del fratello con il Papa è nella pagina Facebook su Emanuela. I commenti rimbalzano sul web. «Che emozione!» «Sono ottimista per la nostra Manu...» «Viva Francesco!».

Prima del figlio, ieri mattina, anche Maria Orlandi, la mamma, paltò scuro e maglia blu a ricami, aveva salutato il Papa. «Santità, io continuo ad aspettare che Emanuela torni a casa, lo sa? Ma se invece non c’è più, le chiedo una preghiera per la mia bimba», aveva detto la vedova di Ercole, il messo di Giovanni Paolo II. E lui, con una carezza, quasi a disagio mentre la donna si inginocchiava ossequiosa: «Se sta in cielo, preghiamo...».

È quasi mezzogiorno: papa Francesco adesso deve scappare, c’è l’Angelus. La folla di Porta Sant’Anna lo acclama. Pietro Orlandi andandosene incrocia il sindaco, Gianni Alemanno, che lo rincuora: «Ci sono novità? Se ti serve qualcosa chiamami, sappi che su di me puoi fare sempre affidamento». Molti lo salutano. Una signora giunta dall’Honduras ha un lumino in mano e gli dice commossa: «Lo accenderò per tua sorella».

«Oggi mi sento fiducioso — conclude Orlandi — chiederò un’udienza privata al Papa per approfondire». E domandargli cosa? «In Vaticano sono sicuro che qualcuno conosce passaggi importanti della vicenda: se la Santa Sede accettò di attivare una linea telefonica per i sequestratori, il famoso codice 158, vuole dire che era stata fornita una prova in vita. Ecco, partirei da qui...» Poi c’è tanto altro: 30 anni di misteri, segreti, depistaggi. E una famiglia tenace, che non si rassegna.

Fabrizio Peronaci

 Corriere della Sera, 18 marzo 2013

 

 

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Pietro ORLANDI

pietro_1959@libero.it


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