01.11.2012 10:24

“Emanuela ORLANDI in un convento”

dal Corriere della Sera dell' 1.11.2012

“EMANUELA ORLANDI IN UN CONVENTO”

INDAGINE A BOLZANO


SABIONA (Bolzano)
La madre badessa, Maria Ancilla Hohenegger, invita i presenti a sedersi attorno al tavolo della sala-biblioteca del convento. I carabinieri inviati dalla Procura bolzanina si accomodano. Uno parla tedesco. Va subito al dunque: «Può fornirci la lista delle suore di clausura dal 1983?». C’è anche Pietro Orlandi, appena arrivato da Roma dopo un’inerpicata su questa rupe mozzafiato, monastero di Sabiona, culla spirituale del Tirolo. É tesissimo. Ticchetta con le dita. Fissa la badessa speranzoso. «Certamente, io sono qui dal 1980 - risponde suor Ancilla lentamente, mentre l’investigatore-interprete traduce - ma vi avverto: le nostre sorelle sono sempre state di lingua tedesca e quindi, se cercate una donna italiana...».

Pietro serra i pugni. Apre la borsa con gli atti che s’è portato dietro, le denunce di una signora che due mesi dopo vide Emanuela da queste parti, le foto di sua sorella quindicenne e quella presunta di oggi, realizzata con un «invecchiamento» al computer. «Madre, guardi qui...», dice stendendo i fogli sul tavolo. «La riconosce?». Silenzio. Suor Ancilla scruta le immagini. A lungo. Alza gli occhi dispiaciuta. Scuote la testa. «Nein...».

Caso Orlandi: il mistero della figlia del messo pontificio sequestrata a Roma il 22 giugno 1983 torna dunque in un convento di clausura. É ancora in un luogo religioso che sono venuti a cercarla, la «ragazza con la fascetta». Come nel 1993, quando i familiari, al seguito di Nicola Cavaliere, allora capo della Criminalpol, si spinsero fino al monastero di Peppange, in Lussemburgo. Pietro, convinto dall’ottimismo degli inquirenti, quella volta portò con sé persino un regalo per la sorella: due pinguini in polvere di marmo. Ma la «sosia», una novizia la cui foto era giunta chissà come agli avvocati, neanche somigliava a Emanuela.

Qui a Sabiona, invece, non c’è stato bisogno del riconoscimento. Una donna oggi quarantaquattrenne, forse plagiata e senza più memoria, nella rocca sopra il paesino di Chiusa non ha messo piede. «Solo in un’occasione, dal Vaticano, ci chiesero di ospitare un sacerdote polacco. Mai nessun altro», ha riferito la superiora.

Gli accertamenti, così, proseguono per chiarire l’antefatto. Il procuratore di Bolzano, Guido Rispoli, un mese fa ha aperto un fascicolo Ncr (atti non costituenti reato) dopo la denuncia presentata a Pisa da Luigi Murò, 57 anni, commerciante con un passato nell’Aeronautica: «Nel 2003 un mio conoscente, Guglielmo Proietti, ex appartenente a Gladio, mi chiese di custodire un plico sigillato con dei documenti sul caso Orlandi. Lo incontrai alla stazione con un tal Mauro: alto 1.75, castano, fisico palestrato. Proietti mi raccontò di aver partecipato al trasferimento di Emanuela al Nord Italia. Aggiunse che la ragazza si trovava nel convento di Sabiona e che lui stava per andare in Costarica, dove avrebbe aperto un albergo».

Il racconto prosegue: «Due mesi dopo, quel Mauro passò a casa mia e si riprese il plico. Poi, nel 2004, venni a sapere che Guglielmo era stato ucciso in una sparatoria», sostiene Murò. Ma perché la denuncia solo adesso? «Per tutelarmi da chi mi minaccia, fare sapere che quei documenti non li ho più», chiarisce al telefono il nuovo enigmatico testimone, l’ennesimo nel giallo infinito di una ragazzina che amava la musica, che il fratello - promotore in queste ore di una petizione al Vaticano perché venga istituita una commissione d’inchiesta, sul modello di quella per il Corvo - non ha mai smesso di cercare.
 
Fabrizio Peronaci
 

 

 

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Pietro ORLANDI

pietro_1959@libero.it


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